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È un percorso non lineare quello che mi ha condotto ad esplorare ambiti diversi della scrittura e della creatività. Per chi ama scoprire anche ciò che non sta cercando, per chi ama spigolare seguendo il proprio istinto, qui c'è del materiale: riflessioni e contributi di arte, fotografia, video, poesie, comunicazione, geografia, personaggi…

[1/5/1996]

Claude Caponnetto


Quadri da un vetrino
Appunti per il private viewing di Claude Caponnetto


Prove di visione

L'occhio si concentra e poi lentamente si avvicina all'imboccatura del microscopio. Cambio di schermo. Contatto. Sei dentro. Le ciglia ti solleticano, ma solo all'inizio. Poi lentamente esplori il palcoscenico che si staglia dal piccolo tubo di metallo nero.

Il tempo si muove in modo diverso, difficile dire se più lento o più veloce certo più diffuso. Capillare. Si vede un vasto suk biologico, come quello dell'ultimo Lamido (figura politica equiparabile allo sceicco arabo - n.d.a.) africano al confine fra il Ciad, la Repubblica Centrafricana e il Camerun: dal venerdì al martedì, sotto il suo paterno controllo, confluiscono in una zona di nessuno al confine fra i tre paesi decine di migliaia di persone, ognuno con la sua mercanzia, ognuno con la sua missione assoluta: tenere alto il primo prezzo – chi vende, abbatterlo – chi compra. Tanti movimenti, braccia e piedi arti colli dita unghie code nasi che impercettibilmente si sfiorano per poi subito staccarsi per decenza e ancora cercarsi. È il motore della vita: il movimento là dove non lo supponevi, sotto la pelle, nelle ali delle libellule, nelle teste delle formiche, nel vetrino con le colture di AIDS, nelle particelle subelettroniche spappolate per osservare cosa succede (ma non è vivisezione anche questa?). Il movimento forte e diffuso, un sabba dionisiaco nei primi istanti. Poi scopri le leggi che tutto regolano: il tuo vetrino è un grande universo democratico. C'è posto per tutti, un melting pot tollerante. Il pesce grande rispetta quello piccolo, talvolta lo mangia. Il pesce piccolo onora quello grande, ma non lo lusinga. Bacilli virus batteri macchie e colori sono emozionati: sanno di essere scrutati dall'occhio, stanno vivendo il loro quarto d'ora prescritto da Andy Warhol. Il microcosmo ha una sua precisa ironia.

Al terzo minuto l'occhio comincia timidamente a produrre associazioni: il bar di Guerre stellari, la dama e l'unicorno, il mulo di Sancho Panza e Don Chisciotte con un capellino da cricket, i leoni della Valcamonica che sbranano antilopi innocenti e maliziose, la caccia di re Dario, alabarde lance scimitarre, strani ectoplasmi lunari si voltano perplessi, la pistola fumante di Tex Willer.

Ehi voi, del vetrino, avete anche voi lo smog? E il traffico, le tasse? Se ci mandate degli ambasciatori proviamo a stabilire normali rapporti diplomatici, magari veniamo a fare la vacanze da voi, sembra che avete delle belle spiagge. Ehi attenzione, guardate quel carro armato che sta entrando adesso, è pericoloso. Qui da noi fanno male, mordono. Svegliatevi. Oddio, sta facendo una strage. Accidenti, vi avevo avvisato. Panico. Adesso mi credete. Mettetevi al riparo, mettete in salvo i bambini e i vecchi. I cadaveri ve li mangiate subito... L'occhio piange, ha visto la violenza del vetrino.

Dopo la tempesta arrivano i capitali del piano Marshall, le cicche il rock'n roll e gli hamburger. La vita ricomincia, l'aria sa d'asfalto bagnato. Il coso che sembra un carro armato è andato via, è rimasta un'umanità silenziosa. Umanità? Pensavo foste solo dei segni. Mi chiamano, devo uscire, qualcun altro vuole scrutare nel tubo. Peccato. Ma chi siete? Da dove venite se là dove siete ora prima non c'eravate? Grande popolo del vetrino mi sentite?


L'opinione del piccolo padre

Sai... prendo queste tele di alluminio sai... sono più leggere del ferro. Sai... quando lavoro i personaggi del mio romanzo camminano da soli sulle loro gambette, fanno tutto loro. Io guardo attonito, meno penso più si muovono. La vita se la prendono senza chiedermi il permesso. Un giorno mi chiederanno anche un nome e uno stipendio fisso. Per ora mi limito a dargli scaglie di colore e si accontentano, non sono ancora sindacalizzati. Amo questi segni così organizzati ma liberi, così chiaccheroni e concentrati sul loro ruolo. Fanno evoluzioni mai uguali, è il loro fascino. Sai... un giorno penso che mi chiameranno sul telefonino e vorranno parlare con loro padre. Sai... e che gli dico? Loro pensano che io sia il loro padre, sarà vero? Sai, certe volte fanno un baccano terribile e allora metto una patina di colla per quietarli un poco. Ma so che dura poco.


L'artista pensieroso

Claude Caponnetto come i costruttori di lenti olandesi che hanno inventato il microscopio (o il telescopio?). Ogni tela è una una lente per scrutare nella schermata precedente, quella che viene prima del nostro mondo. Ogni tela è una lente per ingrandire e osservare pezzi di vita in libertà, ritagliati nel perimetro del grande quadro. È uno strano paradosso quello di usare ampie superfici per mostrare l'infinitamente piccolo, ma chi saprebbe dire cosa sia esattamente la dimensione. Ogni tela/lente è lavorata con pazienza e meticolosità (anche Pollock era meticoloso quando preparava le tele prima di danzare spargendo i colori).

Claude Caponnetto viene dalla frontiera, il suo nome evoca la ribellione al sopruso perché lo porta anche un magistrato italiano saggio e coraggioso, che ha perso molti figli nella lotta contro la piovra. Claude Caponnetto è una capa dura, cocciuta e orgogliosa. Tutte le teste cocciute dondolano sul collo per smaltire il peso dell'autorigidità. Così Claude. Abita uno spazio industriale abbandonato in cui sono ammassati quintali di fuffa (un giacimento per gli antiquari del domani). Un angolo di Manhattan casereccia inside Milano. A cento metri i travestiti accalappiano le golf nere targate lumbard. Come tutti gli artisti che si rispettano ha due lire in tasca ma il conto aperto in trattoria. Claude è uno dei membri della colonia d'artisti dell'Isola. Non è che gliene importi tanto, ma essere un artista comporterà pur delle responsabilità sociali. Che ci faccio io qui? A noi lo chiedi, caro Claude, che ne sappiamo meno di te.

Eugenio Alberti Schatz


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