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È un percorso non lineare quello che mi ha condotto ad esplorare ambiti diversi della scrittura e della creatività. Per chi ama scoprire anche ciò che non sta cercando, per chi ama spigolare seguendo il proprio istinto, qui c'è del materiale: riflessioni e contributi di arte, fotografia, video, poesie, comunicazione, geografia, personaggi…

[18/11/2004]

Uno svizzero ´très sec´


Kurt Blum e l'Italia


'Très sec', molto secco, diceva spesso Kurt Blum, facendo un gesto deciso con la mano, per spiegare il suo approccio fotografico nei confronti del paesaggio industriale. E questa estrema sintesi verbale si ritrova nell'essenzialità delle sue immagini, dove le cose, i gesti, le forme hanno un forte significato simbolico. Sono proprio i reportage industriali a riassumere in maniera più evidente la sua poetica fotografica, influenzata dall'arte astratta e da una fotografia certamente più surrealista che non realista. Qui infatti le colate di acciaio, gli spazi enormi e i macchinari lo stimolano a giocare con bianchi e neri fortemente contrastati o con energici accostamenti cromatici, dove la presenza umana è rara o semplicemente suggerita da altro, come il semplice passaggio di un gatto.

Ma Kurt Blum non ama teorizzare: parla poco e preferisce scattare foto. Oppure – come fa oggi nella sua grande casa-studio in un ex fienile sul lago di Murten, vicino a Berna, dove si trova anche il suo archivio – usa chiudersi nella camera oscura per sperimentare nuove astrazioni fatte di forme e di luce. Riprendendo la conversazione con i vecchi amori, come Man Ray, Moholy-Nagy o con la Subjektive Fotografie, un movimento teorizzato negli anni cinquanta dal fotografo tedesco Otto Steinert che rivendicava, contro la rappresentazione documentaria della realtà, la priorità dell'interpretazione soggettiva.

Il dialogo con l'arte e con gli artisti è uno dei fili conduttori del lavoro e della vita di Blum, che nel corso degli anni non solo ha ritratto alcuni dei più importanti autori del Novecento, ma ne è stato 'au milieu' (Au milieu des artistes è infatti il titolo del suo libro che raccoglie i ritratti da Picasso a Chagall, da Giacometti a Sam Francis), amico e interprete.

Ed è stato proprio un rapporto di questo tipo a portarlo tante volte in Italia, a Genova. Nel 1958 fu chiamato da Eugenio Carmi, allora art director delle acciaierie Cornigliano e poi dell'Italsider, per un libro su Genova, Immagine di una città, una delle prime monografie fotografiche italiane dedicate a una città vista dall'occhio di un solo fotografo. Ne venne fuori un oggetto prezioso: impaginazione asciutta e foto in bianco e nero scattate da uno straniero che girava per le vie e che, accompagnato dal giornalista genovese Luciano Rebuffo (l'autore dei testi nel volume), ne scoprì e ne inquadrò i dettagli, gli scorci, le geometrie, le testimonianze artistiche e storiche, le figure umane e le forme della sua mente.

Con Carmi nacque subito un'intesa professionale e un'amicizia, un dialogo tra due autori che della realtà inseguono soprattutto l'astrazione. Ecco allora, a cavallo fra gli anni cinquanta e sessanta, i reportage sulle acciaierie, i documentari (il film L'uomo il fuoco il ferro vinse il primo premio al Festival del cinema di Venezia, sezione documentari), ma anche le immagini più leggere e divertite scattate per le strade di una città che il fotografo andava conoscendo sempre meglio. Di Genova Blum ricorda “il suo centro storico con i vicoli nei quali le persone si affaccendavano come formiche in cunicoli stretti”. Ma dice anche che “le serate passate con gli artisti nelle trattorie genovesi dove si mangiava e si beveva mi diedero un nuovo impulso vitale”. Gli artisti erano quelli che gravitavano intorno allo storico Gruppo Cooperativo di Boccadasse (fondato nel 1963), i cui soci erano, oltre a Carmi, Carlo Fedeli, Kiky Vices Vinci, Max Bill, Victor Vasarely, Arnaldo Pomodoro, Lele Luzzati, Flavio Costantini, Lucio Fontana, Achille Perilli, Gillo Dorfles, lo stesso Kurt Blum e altri.

L'aria di entusiasmo artistico e esistenziale che si respirava nella Genova di quegli anni non è però il solo protagonista dei reportage italiani di Blum. Nel 1947 andò in Sicilia, inviato da una rivista illustrata svizzera che voleva far conoscere e mostrare le distruzioni della guerra, la vita nelle strade. “Come appassionato d'arte mi emozionò soprattutto il Cristo nella cattedrale di Cefalù, ma la povertà fuori dalla chiesa rappresentò per me un contrasto impressionante.” La situazione fu scioccante, soprattutto per un giovane intellettuale svizzero vissuto in un isolamento ovattato, ma il nuovo impatto rappresentò anche una chance importante. “Poiché la Svizzera durante la guerra era stata molto isolata, questo viaggio fu per me come la liberazione da una gabbia”.

A Venezia scatta immediatamente un senso di nostalgia: “Di Venezia e di una gita in gondola con l'innamorata, sognava ogni giovane artista durante la guerra… Nel 1948 feci il mio primo viaggio in questa città di sogno, e lì fotografai soprattutto le mie impressioni personali”.

A Milano è per la prima volta nel ‘49 per un reportage sulla Galleria Vittorio Emanuele e sul commercio in strada. “Dopo la guerra fioriva dappertutto il mercato nero e io tentai di realizzare il servizio con una macchina fotografica nascosta.”

In queste e in altre città italiane tornò anche in seguito, sia per realizzare servizi commissionati dai periodici che per sue ricerche personali. Per un tipo di reportage più legato alla comunicazione giornalistica, Blum usa un linguaggio fotografico maggiormente narrativo, realistico, mediando fra il racconto e l'astrazione. Per le strade, la gente e l'aspetto umano diventano centrali, il soggetto fotografato è il vero protagonista, mentre il fotografo si fa più piccolo, sempre con rispetto, talvolta con ironia. Viene spontaneo presupporre che forse negli occhi di chi racconta l'Italia di quegli anni ci fossero anche le suggestioni del cinema, dal neorealismo alla commedia all'italiana, con i suoi vigili, le suore, le motorette e le belle signore. Ma i linguaggi si mescolano: e allora l'immagine di un uomo avvolto in un mantello nero e con una valigia poggiata a terra, còlto di spalle sullo sfondo del Castello Sforzesco sfocato dalla nebbia, sembra stare in bilico tra De Sica e Man Ray.

Nel 1953 è di nuovo a Milano per un importante evento artistico, la mostra di Picasso a Palazzo Reale, dove fotografa soprattutto lo sconcerto del pubblico. La borghesia milanese degli anni cinquanta non capisce appieno la forza rivoluzionaria delle opere e le guarda con sospetto. Inoltre, Blum ritrae le pose e i volti perplessi del pubblico, in un'ambientazione fortissima: Guernica e tutte le altre opere sono esposte nella sala delle Cariatidi, gravemente danneggiata dai bombardamenti. Inquadrando questa intuizione dei curatori della mostra, il fotografo racconta, così, la doppia forza della mostra.

Kurt Blum, che ha conosciuto tanti luoghi del mondo (ha fotografato circa cinquanta destinazioni della Swissair in Europa, in America e in Asia, e per l'Unesco ha lavorato due anni in Pakistan) ha tuttavia mantenuto un rapporto particolare con l'Italia. Questa esposizione, suggerita dagli amici Eugenio Carmi e Carlo Fedeli (che all'epoca era Capo ufficio stampa dell'Italsider ed era a lui che il fotografo, fra i macchinari delle acciaierie, rivolgeva il 'très sec') e voluta da Domenico Lucchini, direttore del Centro Culturale Svizzero, è un viaggio nella memoria dell'Italia, come dice lo stesso Blum. Un'Italia che porta ancora i segni dei bombardamenti della guerra, ma non è definitivamente colpita dai bombardamenti dei media. Vista dall'occhio rigoroso e gentile di un fotografo svizzero.

Valentina Carmi

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