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È un percorso non lineare quello che mi ha condotto ad esplorare ambiti diversi della scrittura e della creatività. Per chi ama scoprire anche ciò che non sta cercando, per chi ama spigolare seguendo il proprio istinto, qui c'è del materiale: riflessioni e contributi di arte, fotografia, video, poesie, comunicazione, geografia, personaggi…

[1/2/2003]

Simon Toparovsky


Ex occidente lux


Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento di una splendida felicità.
Pablo Neruda



È una figura dal sesso incerto – per quanto l'ombra del suo enigmatico sorridere la avvicini a una donna – e senza tempo, discendente in una sola vita di una matrona azteca dal cranio rasato e il profilo oblungo, di un replicante di un romanzo di Philip Dick e di una statua ellenica monca delle braccia. Ha il peso leggermente spostato sulla sinistra Sister Patience (Sorella Pazienza, 2001), in capo ha innestata una raggiera di lamelle sacre e ai piedi porta il simbolo che svela il titolo: un cerchio di corde allentate, il tempo non più come giogo che fa sanguinare le carni e friggere i nervi ma come memento, come senso possibile del ciclo dell'uomo. Il tempo che fugge e sfugge sempre più avanti, nell'era in cui pare si debba fare-tutto-e-subito (ci si illude forse di strappare qualche centimetro di terra alle maree della morte) viene sciolto con le virtù della calma e della tenacia: con il talento dell'attesa. Il messaggio di cui è latrice può suonare scomodo, parla di umiltà e sottomissione al destino individuale, di un tempo interiore da opporre alle ansie di un mondo surriscaldato, di una quiete che cauterizza il dolore e ristora la fiducia.

Anche le tre sorelle di /i>The Graces (Le Grazie, 2002) si caricano di un simbolismo quasi magico mentre scrutano l'orizzonte alla ricerca del proprio destino. (Come i tre fratelli della fiaba russa Tzarevna-ljagushka, illustrata da Bilibin nel 1899, che nella tavola divenuta quasi un archetipo si dividono il cielo in tre porzioni mentre incoccano schiena contro schiena la freccia che li porterà nell'ignoto.) Le nostre eroine senza connotati sono l'incipit di ogni storia, di ogni viaggio nel mondo, di ogni scelta. E per questo non possono essere vecchie, sono intrinsecamente giovani. Non sono ancora calate in una logica del fare e del produrre, non avere braccia è il segno che le loro vite sono ancora pagine da scrivere. Incontreranno le gioie e le disgrazie del caso, come si dice, anche perché il triangolo è una ripartizione instabile che sovverte i quattro punti cardinali. Basta muovere un passo, e la linea d'ombra diagnosticata da Joseph Conrad è oltrepassata. Oggi l'uomo si sente il Grande Decisore, il Grande Fabbro di se stesso. La cultura popolare optava invece per un atteggiamento più morbido e integrato con la natura, più permeabile a equilibri sovrannaturali. D'altronde non a caso si dice ‘onde del destino': se ti opponi all'ira del maroso sei perduto, se assecondi il senso di marcia puoi arrivare lontano.

Basterebbero queste due opere in mostra a collocare il surrealismo di Toparovsky in un territorio magico-fantastico con forti venature spirituali. Nel suo lavoro la figura dell'uomo, sempre centrale nel senso e nell'immagine, si carica volentieri di significati simbolici: si veda il ciclo degli Hanging man, che ricalcano la macabra carta dei Tarocchi nota come L'Impiccato, e lo splendido candelabro di bronzo Carrying Cocteau realizzato insieme a Randy Franks, composto partendo dal basso da una tartaruga, un cactus, una colonna tortile e delle manine prensili che reggono le aste dei ceri – un inno alla cooperazione del mondo animale, vegetale, minerale e dell'uomo, una perfetta catena di mondi che regge il fuoco come Atlante regge l'universo. In molti lavori l'assenza degli arti si impone con crudezza: lo strazio dell'arto fantasma racconta la storia di un uomo che lotta per essere uomo anche quando la circostanza è disumana.

Toparovsky vive in California, quella terra votata ad essere il poligono delle invenzioni che hanno il potere di cambiare la civiltà: l'oro, il mito del cinema, la contestazione, i gay, il computer, il pensiero eco-, il politically correct, l'alimentazione vegan… Forse per questo Toparovsky ha lasciato New York, dove si era occupato di restauro di libri e book art, alla volta di Los Angeles, città in cui è attivo dagli anni '80. Qui, dove nessuno si azzarderebbe a scoraggiare il sogno più azzardato, ha trovato quello spazio di libertà che gli ha consentito di costruire una pratica di arte totale, che va dal fare le sculture al disegnare parchi e giardini. Ha scelto un ambito tradizionale come la scultura in fusione, in cui si esprime in termini figurativi, ma non si è chiuso in un alfabeto descrittivo, al contrario ha esteso la propria ricerca da una parte verso il profondo, esplorando la la simbologia, dall'altra verso le relazioni con il mondo circostante, mostrandosi sempre molto attento alla risonanza del lavoro nel contesto d'installazione. Ma qui, nel cuore della Southern California, ha trovato soprattutto la sorgente perenne di una materia prima preziosa: la luce. (Quello stato dell'ossigeno, quell'insieme avvolgente di caldo, colore, odore e consistenza euforica che ha l'aria in questi posti e che è difficile da raccontare a chi non c'è stato.) Luce come nutrimento per creare. Luce come energia primaria di positività opposta al dolore, alla confusione, ai toni del grigio. Luce come coraggio e bellezza essenziale in cui ciascuno può rinascere.

Il surrealismo di Toparovsky si pone fuori dagli schemi e tratteggia il dolore con tinte realistiche: i personaggi in bronzo di Toparovsky, talvolta coperti di corde foglie e stracci lacerati, talvolta nudi, si tengono lontano dalle bianche sagome pop di George Segal e fanno piuttosto pensare ai calchi delle vittime di Pompei esposti al Museo Archeologico di Napoli, esempi di scultura tragicamente spontanea, rappresentazione irreversibile della fisiologia del dolore e della morte. Né tantomeno vi è compiacimento o humour nero, come avviene nei macabri balletti di Roland Topor (in nomen omen: topor, che in russo significa ascia, nel cognome di Simon cambia una ‘o' in ‘a' e smussa così il suono di carneficina).

Attesa, sono tutte figure in attesa. Annunciano dal profondo l'avvento di una luce diversa sulle nostre nuche. Non sappiamo, potrebbe anche essere l'annuncio di un ritorno, il realizzarsi di una profezia. Nel libro Su cose che si vedono in cielo, Jung pone in relazione il fenomeno degli avvistamenti di ufo con la nevrosi della guerra fredda, ma nota anche che le visioni sembrano accadere perlopiù a coloro che non vi credono. La forza di un mito spezza mille censure e mille filtri. La salvezza dell'uomo è nella luce che per un istante acceca – almeno per un istante – i fantasmi che abitano gli abissi interiori dell'uomo.


Eugenio Alberti Schatz




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