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È un percorso non lineare quello che mi ha condotto ad esplorare ambiti diversi della scrittura e della creatività. Per chi ama scoprire anche ciò che non sta cercando, per chi ama spigolare seguendo il proprio istinto, qui c'è del materiale: riflessioni e contributi di arte, fotografia, video, poesie, comunicazione, geografia, personaggi…

[1/6/2009]

Essere nella testa di un altro


L'amore, non la guerra

Le scene di grandi battaglie sono come parafulmini. Ricordano alle generazioni che hanno scampato la guerra con la g maiuscola che ciclicamente gli uomini sprofondano nel male. Forse aggrappandosi a queste immagini si può sperare di allungare l'intervallo. È una celebrazione in negativo, un invito a tenersi alla larga, a non ricominciare. Purtroppo smettere di fare la guerra è più difficile che smettere di fumare. La guerra è distruzione su scala industriale, propaganda che acceca… ma è il modo con cui le nazioni regolano i rapporti e decidono i loro destini: si spera sempre che la guerra in corso sia l'ultima e poi non se ne debbano fare più. C'è il fascino della divisa e delle parate, la sinistra bellezza delle armi e del potere. Tutto è mischiato. E tutto si ripropone prima o poi. Gli Stukas spezzano gli alberi delle vele, i Cervantes perdono la mano sinistra, le guerre seguono lo stesso copione da millenni, le fondamenta della pace sono insanguinate. È come se una gran dama della buona società volesse far dimenticare di essere stata cortigiana in gioventù. Ma a che serve la rimozione. La memoria è il passo giusto, onesto. La guerra si annida dentro di noi, meglio saperlo e spurgarla. Meglio dipingere quadri di guerra che ammazzare il prossimo. La grande storia si fa con le grandi battaglie. Crociate e Jihad non le abbiamo inventate noi, sono nate con le bandiere e le religioni. Le grandi battaglie sono storia pura alla massima potenza. Bucano l'immaginazione, bucano il tempo e diventano immortali. Una grande battaglia contiene tutte le altre, è la madre di tutte le battaglie (l'espressione è diventata famosa in Occidente perché l'ha usata Saddam Hussein). La battaglia di Lepanto è il tema dei miei quadri esposti all'Arsenale per la Biennale 2009, quell'Arsenale in cui si costruivano navi chiavi in mano nel tempo di un banchetto. E poi, contro chi combattiamo? L'ammiraglio Uluc Alì, il miglior comandante ottomano, era un calabrese. Non ho risposte. La mia risposta è ricordare.



Quattro bugiardini per quattro reperti artistici


I. Lanterna da campo antivento per candela singola
Il Messaggero

La piccola fiamma è inquieta, tremula, sembra che voglia dirmi qualcosa nel buio oppresso dal vento. Anch'io vorrei dirle qualcosa ma c'è troppo rumore, e se parlassi poco si sentirebbe. Guardo il costone, fra le cime dei pini, alla ricerca di qualche segnale. Fatica sprecata. Fabrizio Dongo elemosinava con gli occhi la sagoma di un nemico pigro da una cannoniera della Fortezza Bastiani… La luce parla a nemici invisibili, ai lupi, ai gufi, al destino, alla nera signora che non sa che io arriverò a Samarcanda prima di lei. Il mio corpo è stanco, stanco anche di fare domande. Ma chi ha una missione su cette jolie planète non può farsi troppe domande, deve svolgere il proprio incarico disintegrando gli ostacoli, eliminando le tracce e arrivando puntuale. Il tempo è il mio padrone, il corpo capirà. Io sono su una torre nei monti dell'Epiro, il fuoco manda un segnale nella notte e subito rimbalzerà un'eco di luce a catena e nel giro di poche ore il nostro esercito sarà in armi, pronto a dare battaglia. Il mio compito è attraversare saloni e ponti levatoi infiniti per recare il dispaccio. È dare luce, come il fanale di un tram nella periferia addormentata di ogni anima, così cara all'isolano Sironi. Il numero del tram non si legge, ma io so che sta per succedere qualcosa. Io ho gli occhi dei due fratelli greci che portavano un cognome differente: vedo ciò che non si vede.


II. Portachiavi con anello da telone ferroviario in canapa
La Fune

La bella e la bestia. Il pozzo e il pendolo. La fune e il funambolo. Ogni fune ha un funambolo che la percorrerà, tagliando le nuvole fra le due Twin Towers ancora in piedi, con un piccolo zainetto che contiene una bottiglia d'acqua minerale. Ogni telone in canapa ha bisogno di forti anelli per avvolgere il vagone ferroviario dismesso a cui è destinato. Ogni fibra di canapa sa che un giorno potrà bere acqua e poi restringersi fino al limite della vita. Lo sapeva l'architetto Valadier, che usò le funi di canapa per sollevare da terra le trenta tonnellate dell'obelisco di Ramses II. E quella mattina gridò: “Sia data acqua alle funi.” Le funi si bagnavano e poi seccandosi si ritraevano attorcigliandosi e accorciandosi, gemendo per lo stress – un propulsore silenzioso e possente. Ogni fibra di canapa sa che le Repubbliche Marinare non sarebbero diventate forti e altére senza il cordame e le vele. La pianta della canapa cresce fino a 4 metri, e poi decide se andare al maceratoio per diventare tessuto, o trasformarsi in olio cosmetico. La sua cugina indiana, con cui si scrivono tutte le settimane, ha fecondato i polmoni e le menti di generazioni di giovani idealisti che volevano migliorare il mondo e al tempo stesso divertirsi. (Nella Contea di Humboldt, in California, c'è sempre un vecchio hippie che ti offrirà un piccolo e innocente viaggio sciamanico di qualità superiore.)


III. Sapone da viaggio con aura militare
Hotel du Monde

Qualcuno ha detto. “Capotavola è la dove siedo io.” Io rispondo: “Il mio albergo è il mio sapone.” È quel pezzo di bagno portatile che mi fa sentire cittadino del mondo. Quando esco dall'albergo sono una carta assorbente pronta a impregnarsi di tutti i sapori e tutte le meraviglie. Posso essere in un hotel di ghiaccio all'estremo Nord, in un centro sociale ad Amburgo, nell'albergo di Somerset Maugham nei mari del Sud, in un bunker svizzero antiatomico, in una pensione sordida di Salonicco o nella cabina del Taitù, il veliero italiano più bello – e non mi scompongo: sono sempre pronto per l'appuntamento successivo. La mia geografia dei saponi è un cappello a tre punte: Marsiglia, Imperia e Oxford Street. Marsiglia perché mi sento bianco e profumato come un panno steso al sole, so di pulito fino alle ossa. Imperia perché la saponetta dei Fratelli Carli gialla e ottogonale è il sapone all'olio d'oliva, immutabile e definitivo. E Oxford Street perché duecento anni di ricetta Pears sono tanti: è il primo sapone alla glicerina dopo quelli all'arsenico e al piombo che rovinavano la pelle, con la trasparenza e quegli estratti di timo e di rosa che ti fanno sentire inglese anche se sei nato da un'altra parte. Non a caso ha lo stesso colore e e la stessa p iniziale di un'altra istituzione britannica: il Pimm's. Non volevo fare torto a nessuno dei tre saponi, per questo ho scelto la grafica di un survival kit per soldati americani della World War Two. Signori si diventa… tutte le mattine del mondo.


IV. Pesacarte in metallo avionico
L'Operaio aereo

Le origini non sono mai casuali ma nemmeno troppo precise. Prima di diventare qualcosa, tutti noi giacciamo come pezzi sparsi e abbandonati in un grande hangar, o in un cimitero di aerei a Tucson. Prima di essere fusi e prendere finalmente le nostre sembianze attuali, siamo stati pezzi di un modello obsoleto. Io sono stato trovato in un deposito di Nardò, sulla strada per Avetrana. Ho perso memoria di quale funzione meccanica espletassi nel motore a cui ero stato assegnato. So che ho fatto tanti decolli e tanti atterraggi, quando a Sigonella le missioni logistiche e militari si susseguivano a ondate durante le guerra in Bosnia. S chiamava “the hub” ed era la base aerea più grande in Europa. Erri De Luca, che lavorava come civile, scrisse che gli operai sono “colla che tiene insieme dignità e pazienza”. Uomini e motori erano la stessa cosa: una catena di montaggio per staccare le città volanti dal suolo. Anche il metallo sogna. Oggi ho sognato di essere un operaio dell'Isotta Fraschini, lavoravo al tornio i pezzi più delicati per le auto in tempo di pace e gli aerei in tempo di guerra. Poi ho imparato, ho aperto una fabbrica tutta mia e ho provato a usare lo stesso motore di alluminio per solcare i cieli liquidi dell'oceano, sulle vedette che pattugliano le coste. Motori veloci e sprezzanti. Un giorno la Marina militare statunitense mi cercherà per montare il mio motore leggero su nuovi dirigibili che pattuglieranno le coste del Nuovo continente. Ognuno ha un lavoro da fare su questa terra.

Eugenio Alberti Schatz



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