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Nessun uomo sia isola: sia arcipelago! Qui trovate veri link verso mondi che partecipano dello spirito di Ladomir. Potrebbe essere che dicano più loro, su questo spirito, delle parti descrittive tradizionali di questo sito. Correte il rischio.

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[26/4/2009]

# 31_Valeria Cornelio_II

Valeria Cornelio, racconto secondo. Vinile è una variazione musicale, quasi un'elegia sul tema dei tempi che non torneranno, quelli in cui le cose avevano un sapore, cioè uno spessore. Il progresso produce nostalgia a ogni giro di boa, non è certo una scusa per negare la spinta in avanti. È che questa nostalgia è parte del nostro paesaggio umano, è il segno della fatica che facciamo per procedere senza sapere dove. Intorno a noi è pieno di cippi e traversine di ferrovie abbandonate, di invenzioni poi rivelatesi inutili, di fallimenti e prove a vuoto, di tecnologie inferiori che vincono su tecnologie superiori. Affezionarsi ai perdenti è umano.



[16/4/2009]

# 30_Roberto Maggio

La gommalacca è una secrezione dell'insetto Kerria lacca, che viene raccolta sulla corteccia degli alberi nelle foreste di Assam e Thailandia. È un polimero naturale ed è stato usato a partire dal XIX secolo per produrre cornici, scatole, articoli da toeletta, gioielli, calamai e protesi dentarie. Una volta dissolta in acetone o alcool, la gommalacca dà un rivestimento di durevolezza e durezza superiori. È usata allo stato puro per rifinire mobili, violini e chitarre. Ma quest'ultimo non è il suo unico utilizzo musicale: fino al 1950, con la gommalacca si sono prodotti i dischi grammofonici. Dal 1948, anno di apparizione negli Stati Uniti del PVC (vinile) come supporto dei dischi con microsolco, basteranno due anni per decretare l'estinzione della gommalacca. Dal 1951 al 1954 si consumò anche il passaggio storico dai dischi a 78 giri (monofonici) ai dischi 33 giri (stereofonici). Oggi la gommalacca è usata per il restauro e la lucidatura di mobili d'epoca, mentre il vinile a sua volta è stato ucciso dal CD inciso a laser, sebbene con qualche luminosa eccezione come la scena underground e gli appassionati di rock, che si ostinano caparbiamente ad ascoltare e scambiarsi vecchi vinili, e in alcuni casi addirittura a inciderli! L'LP è dunque un long playing anche sul piano storico. E lo è nei cassetti in cui archiviamo le icone visive del nostro tempo.
Roberto Maggio ha classificato per noi le sue 17 copertine più belle. L'Øspite ambiguo adora le classifiche, poiché richiedono – come in questo caso – una conoscenza ampia e a zig zag. Roberto Maggio è nato in terra di Puglia, lavora a Milano come progettista di comunicazione ed esperto di culture giovanili, e vanta una nobile vita professionale precedente in editoria (Laterza). La prossima classifica?



[15/11/2008]

# 29_Nichi Stefi

Thomas Billon, dopo aver presentato cinquecento anagrammi sul nome del re, ottenne da Luigi XIII la carica di regio anagrammista, con pensione annua ‘da continuarsi ai figli dopo la morte'. Allora si giocava con gusto con i nomi di re e dintorni: Borbonius era orbi bonus, l'assassino di Enrico III frère Jacques Clément era c'est l'enfer qui m'a créé, l‘amante Marie Touchet di Carlo IX era je charme tout. Gli anagrammi sui nomi di grandi persone sono un genere a sé, e quando riescono inverano il detto latino in nomen omen. Stefano protomartire è santo morto fra pietre; Girolamo Savonarola saliva al rogo romano; di Vittorio Emanuele secondo si disse Roma ti vuole e Dio consente, ma anche né Dio né Roma te vuole costì; maestro Giuseppe Verdi fu di vigor perpetua messe (questo anagramma vinse il concorso della Domenica del Corriere nel 1901 per la morte del maestro); e il triestino Guglielmo Oberdan fu per un club di enimmisti di quella città regno dell'ambiguo. Non ometteremo per amor di bandiera Benito Mussolini rovesciato in nobilis is ut nemo.
Nichi Stefi oggi ci regala 58 anagrammi sul sovrano che con sollecitudine di amorevole padre regge i destini della nostra povera patria da qualche lustro. Il suo virtuosismo è però duplice, perché ha legato questi anagrammi in un poemetto di senso compiuto che diventa encomio e biografia a piccole tappe. Per non dire triplice, visto che all'ultimo verso svela con folgorazione da epigramma le reali intenzioni dell'autore. Ammirati siamo, e giriamo l'assegno ai lettori. Torneremo poi a occuparci di Nichi Stefi, che prima di diventare maestro lui stesso ha avuto due maestri di vaglia in Gillo Dorfles e Luigi Veronelli: dalmata trapiantato sulle rive del lago lariano, regista di televisione e teatro, poeta, scrittore di guide e recensioni vitivinicole e mangerecce, e ancora non raffreddato all'impegno che ne aveva connotato i primi passi a Milano nella stagione dell'impegno.



[1/11/2008]

# 28_Alfredo Accatino

Alfredo Accatino è un signore romano dalla barba bianca e i modi cortesi che per vendicarsi di non essere diventato sceneggiatore è all'anagrafe professionale uno dei più quotati direttori creativi di eventi in Italia. In parallelo, è un autore satirico ed è uscito dalla sua penna un aforisma diventato celebre in rete: ‘Ho baciato Berlusconi, sapeva di tappo.” Il suo spirito nasce dall'understatement anglosassone ma anche dalla verve crudele di un romanaccio come il Marchese del Grillo. Nel 2005 è uscito il suo volume Gli insulti che hanno fatto la storia. Per l'Øspite ambiguo ha scritto ad hoc Hard, un piccolo acquarello truce e imbarazzante. È un'istantanea grottesca in cui si scarica per catarsi l'avversione che provano gli artigiani della comunicazione verso i miti del consumo, loro che dedicano buona parte dell'esistenza a forgiare e mantenere saldi questi stessi miti.
Mario Pischedda è un signore sardo che ho incontrato solo in rete, un artista e performer che si diverte a giocare con fotografia, grafica e testo, e che ho invitato a illustrare il testo di Accatino. Il suo è il pensiero del non-sense, non procede per ragionamenti e visioni compiute ma per associazioni istintive, cattiverie localizzate o ampi afflati inclusivi, piccoli salti geniali nel cyberspazio. È in un certo senso la dimostrazione che la tecnologia può – come nel caso dei sardi, di tiscali e dei parchi dell'innovazione là avviati – catapultare le realtà più diffidenti e apparentemente arretrate nel futuro e nella sottigliezza di discorsi d'avanguardia. La Sardegna indubbiamente è un'avanguardia. Di più non posso dire, perché Mario si sottrae a domande eccessivamente intrusive e dirette.
P.S. Sorpresa: l'ultima immagine di Pischedda è un testo. In fondo, oggi poesia e romanzo, testo e immagine fanno lo stesso lavoro.



[28/6/2008]

# 27_Alberto Mori

Se la poesia di Alberto Mori fosse un'architettura, diremmo che lascia i mattoni a vista. Il suo lavoro complesso e multiforme non obera la struttura fonetica delle parole, non la oscura: resta lì, in bella vista, accessibile, cristallina, scandita. Se il muro è una sequenza di mattoni, il verso è in primis una sequenza di suoni. Questo lasciar vedere dentro la scatola della poesia credo venga dalla frequentazione del teatro e della performance: Mori incanta quanto recita a pieni polmoni le sue fonìe, con un modo originale di accelerare o decelerare, e sempre controllando al millimetro la macchina della declamazione. Un altro se: se avesse senso operare incroci genetici fra poeti, lo chiameremmo il Majakovskij di Crema, città in cui vive e lavora e da cui si sposta agilmente per fare incursioni poetiche nei contesti più disparati: nei festival, nelle gallerie, nelle biblioteche, per strada… Ci ha donato questi frammenti inediti dedicati al packaging dopo aver studiato l'Ospite Ambiguo, gliene siamo grati.
E ci siamo ricordati delle fotografie di ricerca di Saverio Femia, una riflessione sulla conservazione e sulla temperatura del cibo. Sono state esposte allo Spazio Opos di Milano nel 1999 a una mostra dal titolo La forma del cibo, curata da Luca Molinari e Susanna Ravelli. Nell'universo delle merci, il packaging è il media assoluto, l'unica cosa ancora più importante delle merci stesse.



[22/4/2008]

# 26_György Réti_II

Le quattro storie che qui sono offerte in lettura nascono come resoconto di un doppio viaggio di studi in Italia nel 2001 e nel 2004, e formano il primo nucleo di un libro corredato da fotografie e versioni – oltre che in italiano – in ungherese, russo e inglese. Auguriamo all'autore di trovare presto un editore illuminato. La Riviera Ligure, gli scorci, i profumi montaliani affascinano Réti, lo ir-reti-scono in una sindrome di Stendhal tipica dell'uomo dell'Est in gita nel Belpaese. Ho visto così tanti casi di emozione profonda di fronte alle bellezze dell'arte e del paesaggio italiani, da aver imparato a rispettarla. Chi palpita di fronte alla bellezza ha sempre la mia stima, la commozione di un uomo non è mai patetica. A questa capacità di far vibrare l'anima, Réti aggiunge poi un ulteriore candore: quello del diplomatico e dello studioso delle relazioni politiche fra Italia e Ungheria. Quando ci racconta dei suoi incontri, è come se parlasse di incontri fra nazioni che avvengono secondo un cerimoniale. C'è un senso in questo modo di porsi: il diplomatico fa conto sulla bontà degli uomini, non può muovere guerra per primo, deve sempre cercare una strada incruenta. È un Candide per necessità. Réti, nell'arco di 40 anni di carriera diplomatica, ha rappresentato il suo paese in Cina, Vietnam, Albania e Italia. In parallelo, ha firmato 12 libri e oltre 200 pubblicazioni. (lLeggi nel file PDF il testo qui sopra tradotto in ungherese.)



[21/4/2008]

# 25_Piero Pieri_II

Nelle mitologie antiche lo psicopompo (colui che conduce le anime nell'aldilà) è una figura severa, sistematica, neutrale, che svolge un compito di responsabilità e per il quale deve essere regolarmente ricompensato. In Grecia, anche in età non molto antica, si usava mettere ai defunti una moneta sotto la lingua, o due monete sopra i lobi oculari. Lo psicopompo di Pieri (I ragazzi del 94 è del 1994-1995) riflette l'epoca ambigua della fine degli anni '80: intanto si sdoppia in due personaggi che litigano e si punzecchiano come due tossici. Sono ciarlieri, increduli, pettegoli, voyeur, come le anime che traghettano. Sono i Caronti degli scampoli di una società inebriata di vuoto. Linguaggio, psicologia, aspirazioni dei personaggi (non a caso famosi) sono un'anticipazione dei reality show di oggi, dalla loro bocca esce un ibrido duro di linguaggio quotidiano centrifugato con flussi di coscienza. Ma c'è anche molto cinema. Non ho potuto non ricordare l'insuperato Totò all'inferno (1955). Nel suo viaggio nell'Ade Totò incontra Elena di Troia: lei gli porge la mano e si presenta con un modernissimo ‘Elena di Troia.' Lui risponde: ‘Piacere, Totò.' (Si era così ritagliato un posto fra gli immortali.) E poi c'è l'incontro con gli esistenzialisti con i maglioni neri e gli occhialetti cerchiati, che battono a macchina sulla lettera 22 e non si lavano mai… I ragazzi del 94 merita una trasposizione su pellicola. La fellatio di Moana Pozzi alla leva del cambio di Senna è una scena che non dimenticherete facilmente.



[20/4/2008]

# 24_Valeria Cornelio

La miglior cura è l'oblio, e la via più breve per l'oblio, prima ancora delle droghe e dell'alcol, è dormire. Così, nel racconto di Valeria Cornelio, ci si addormenta per sognare di persone che si addormentano, in un gioco di scatole cinesi. Il sonno improvviso e irrituale potrebbe essere un ottimo modo per manifestare il dissenso sociale. Quando gli altri sono noiosi, addormentati. Quando il supermarket ti tedia, addormentati. Quando nel tuo paese comandano i trimalcioni, addormentati. Di Valeria si possono raccontare tante storie, a cominciare da quella per cui una giovane e promettente archeologa con esperienze di scavi in Iran (ha assistito alla caduta dell'ultimo Scià di Persia) viene cooptata nello sfavillante mondo dell'advertising. Due emisferi – destro e sinistro – rubati all'antichistica, anche se alla direzione della multinazionale in cui lavora non credo siano mai arrivate lettere di protesta dai Beni culturali. Nel 1995 ha pubblicato da Garzanti, insieme a Violi Tonci, il libro Di madre in peggio.
Le immagini sono di Marianne Werefkin (1869-1938), artista russa vissuta in Germania e in Svizzera, allieva di Il'ja Repin. Colta, indipendente, in anticipo su molti temi. Da conoscere meglio.



[18/4/2008]

# 23_Giuseppe Cordini

Le scritture professionali affascinano, sono quegli sguardi che si innestano su anni di osservazione e pescano da angoli di visuale anche molti stretti. Ma proprio in questa chiusura della visuale trovano un carburante potente. Lo sguardo del medico (Cechov), dell'avvocato, dello scienziato, del funzionario di polizia… urbana. La vita di Giuseppe Cordini è giù un piccolo romanzo. Dopo aver disegnato e progettato per dieci anni le carrozzerie dell'Alfa Romeo, diventa vigile urbano a Milano. Via via che ascende i gradini della carriera, si occupa di formazione, informatica, sicurezza, minori, politiche di immigrazione, comunicazione… È stato responsabile per diversi anni della Relazioni esterne della Polizia Municipale di Milano ed è stato Direttore dei corsi di formazione per agenti e ufficiali di polizia locale della Regione Lombardia. Si è costruito una buona fama di esperto in questioni legate alla sicurezza del cittadino, al vigile di quartiere e ai conflitti urbani che coinvolgono extracomunitari. Il suo è uno sguardo che poco concede al lirismo, è un diaframma che restituisce la vita outdoor della città in scala 1:1, in certi passi replica il linguaggio di un verbale. Ce n'è per tutti: i colleghi rivali, i colleghi pigri, i cittadini scaltri, i vecchietti rimbambiti, la crudeltà del caso, le individualità paranoiche (animalisti, per esempio)… Ma questa è la nostra città, non un'altra. Questa amiamo, questa pentola in cui su un battuto asburgico abbiamo gettato una polpa di modernità ibrida… Eppure, se i milanesi brontolano per mille e un motivo, chiedete a uno qualsiasi dei tantissimi immigrati – italiani e non, con laurea o senza – che la popolano: la prima parola è di riconoscenza. Buona lettura di queste otto micidiali, disincantate, umanissime pillole di ghisa, scritte nel 2007 a poca distanza l'una dall'altra.
Le immagini sono dell'artista Guido De Zan, che getta un occhio ceramico sulla città, attento alle architetture e ai luoghi simbolo più che ai volti dei milanesi. Di questa passeggiata con diaframma riteniamo un fondale sironiano, geometrico, congelato, in cui Navigli, Cà Granda, San Lorenzo, Torre Velasca, grattacielo Pirelli, nuova Fiera e nuova Bocconi esprimono bene un momento fondante dello spirito milanese: la compenetrazione di vecchio e nuovo, di tradizione e modernità.



[30/1/2008]

# 22_Beppe Caturegli

Gli architetti Beppe Caturegli e Giovannella Formica formano un sodalizio solidissimo, nella vita e nella professione. Dopo gli studi a Firenze, si imbattono nella nebulosa di Ettore Sottsass, nel cui studio si impollinano ben bene, acquisendo un'idealità e alcune venature di radicalità non comuni di questi tempi. Sono spesso in viaggio, ma anche quando sono a casa sembrano in movimento. Conoscono persone nuove di continuo, realizzano progetti in paesi lontani, vanno a mostre e fiere d'arte in tutti i continenti come noi andiamo a prendere un aperitivo, sono dei nomadisti insaziabili. Tutta questa linfa che ingeriscono però, non la eliminano subito dall'organismo: la decantano. I loro progetti sono meditati con cura, non inseguono i committenti, si muovono sul filo di un'ironica riservatezza. Questo schema – quale che siano gli ambiti – porta a un risultato di intensità diffusa. Ci siamo conosciuti attraverso Nina Yashar, della galleria Nilufar, che dal 2003 ha messo gli occhi su di loro. Per questa galleria hanno prodotto una serie di tappeti in esemplari unici, Map Carpet (o anche Map of the Market, con disegnato l'andamento delle azioni della Borsa di New York per settori, in un dato istante), e nel 2006 una vera e propria edizione, i tappeti Gattaca della serie Contaminazioni. Sono tappeti annodati a mano in lane policrome e color naturali, in cui il disegno riproduce una mappatura del DNA umano. Dei due, Beppe è lo scrittore, la sua è una scrittura nomadista, un prisma con facce che si moltiplicano ogni volta che giri il prisma nelle mani. Il brano dal titolo Contaminazioni che vi proponiamo è interessante come testo che illumina i dintorni di un progetto, facendone emergere le ragioni in modo letterario, non per tesi. Se, come si dice, Milano è la capitale del design, parlando in senso lato bisognerebbe considerare non solo il prodotto finale, l'oggetto fisico che è il capolinea del progetto, ma anche la cultura prodotta strada facendo, il processo. O l'itinerario che dir si voglia.



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